Giardina, Andrea Luigi

Biologo, naturalista, politico

28 novembre 1875 - 22 gennaio 1948

descrizione

Andrea Luigi Giardina


Nacque a Patti (Messina) il 28 nov. 1875 da Giuseppe e Caterina Rao. Laureatosi in scienze naturali a Palermo nel 1897, fu assistente prima di N. Kleinenberg, zoologo proveniente dall'Università di Jena, e successivamente di F. Raffaele, napoletano di formazione, al quale rimase sempre legato e dedicò significativi lavori. Nel 1901 conseguì la libera docenza in zoologia e nel 1906 vinse il concorso per la cattedra di anatomia e fisiologia comparate a Pavia. Quando il Raffaele nel 1915 fu trasferito a Roma, l'Università di Palermo chiamò il G. alla cattedra rimasta libera. Nel 1926, dietro proposta del Raffaele, fu chiamato dalla facoltà romana come successore di G.B. Grassi, ma ragioni di salute lo costrinsero a tornare dopo pochi mesi a Palermo. Nel 1904 sposò Emma De Corradi. Nel 1907 fu tra i fondatori, insieme con E. Rignano, G. Bruni, F. Enriquez e A. Dionisi del periodico di sintesi scientifica Rivista di scienza (dal 1910 Scientia), dimostrando come la ricerca scientifica fosse in lui accompagnata da una viva consapevolezza filosofica. Dal 1905 al '21 diresse a Palermo la scuola di farmacia. Fu preside della facoltà di scienze di Palermo, membro della Commissione provinciale e compartimentale per la pesca, socio di accademie scientifiche italiane e straniere. Partecipò ai lavori per la riforma universitaria, come membro della commissione il cui progetto fu presentato al congresso di Roma nell'aprile 1921. Collaborò all'Enciclopedia Italiana come redattore di biologia generale e zoologia. Morì a Palermo il 22 genn. 1948. Radicato nella concretezza e razionalità della tradizione sperimentale, avvertì la necessità di collocarne scopi e metodi in un'ampia, rigorosa prospettiva filosofica. Attivo in anni di positivismo imperante nelle scienze, ne rilevò criticamente l'angustia e le insufficienze, tentando di superarne i limiti in una visione organica della ricerca scientifica e della natura. Ritenne legate in unità teoretica la scienza, come intuizione di verità invarianti e scoperta di correlazioni e leggi, e la fede religiosa, che cristianamente si configura nel G. come fede nel dio che crea liberamente, ponendo in atto l'ordine oggettivo della scienza. Il processo conoscitivo scientifico, per il G., si manifesta come inseparabile dalla prospettiva teologica e ha la funzione di cogliere in termini umani la rivelazione graduale della provvidenza e del suo disegno (La scienza per la vita, Palermo 1921). Il G. professò apertamente le sue convinzioni cristiane, che si espressero anche politicamente con l'adesione al Partito popolare italiano dove fu attivo dal 1919 al 1925 (Perché ho aderito al Partito popolare italiano, ibid. 1919). Nel 1906, succedendo a Pavia a L. Maggi, rigido seguace delle idee di E. Haeckel, prese spunto dall'oggetto stesso del suo insegnamento, l'anatomia e fisiologia comparate, per ripercorrere nella prolusione la storia della teoria zoologica (Le discipline zoologiche e la scienza generale delle forme organizzate, Pavia 1906). Illustrando le origini, i contenuti e i rapporti reciproci dell'anatomia comparata e della zoologia, ricordava che gli zoologi avevano utilizzato, a fini classificatori, il metodo comparativo della morfologia esterna, mentre gli anatomici si erano occupati della morfologia interna, per raggiungere lo stesso scopo. L'anatomia comparata, dunque, pur avendo un'origine separata da quella della zoologia, ne condivideva scopi e metodi e poteva esserne considerata un ampio capitolo. La separazione delle due discipline era peraltro continuata, ma per ragioni pratiche e non intrinseche, oggettive. I comparatisti avevano tentato di conferire all'anatomia comparata una netta autonomia e di costituirla quale scienza morfologica assoluta, con lo specifico compito di trovare l'unità del tipo, ossia quel profilo ideale che esprime il rapporto tra idea e natura. Per spiegare l'unità di piano fu anche introdotta l'ipotesi di una discendenza comune, che finiva con l'attribuire al sistema di classificazione il significato di un albero genealogico. Ma così facendo - questa la critica del G. - il pensiero scientifico compiva un salto logico rilevante perché da rapporti di somiglianza deduceva rapporti di successione e parentela, trasformando un'analogia in causalità. Si era ottenuto in tal modo di semplificare il criterio comparatistico, senza che la morfologia comparata avesse potuto dotarsi di metodi nuovi. Intanto la teoria filogenetica utilizzava le somiglianze e differenze fissate dalla morfologia per definire parentele e costruire l'albero genealogico degli organismi. In conclusione la ricerca filogenetica non poteva vantare un suo metodo specifico e non poteva dare alcuna prova delle sue affermazioni. Secondo il G. la morfologia generale, sia pur ristretta all'evoluzione degli organismi, per presumere la certezza dei propri enunciati, deve essere causale, e usare quindi il metodo sperimentale. Nella citata prolusione il G. ritiene sostanzialmente diverse in sede conoscitiva l'osservazione, avente come compito la classificazione, e la sperimentazione. PUBBLICITÀ Il G. fu criticato dal filosofo G. Vailati (Uno zoologo pragmatista - Recensione ad A. Giardina: Le discipline zoologiche…, in Leonardo, IV [1906], pp. 265-273), sia per aver cercato di far coincidere la distinzione tra la ricerca delle cause e quella delle somiglianze con quella tra esperimento e semplice osservazione sia per aver affermato che le conclusioni teoriche più sicure possano essere raggiunte con la "sanzione sperimentale", sia, infine, per aver parlato di spiegazioni causali, come se esistessero spiegazioni che fanno cosa diversa dal riconoscere la dipendenza di fatti o leggi da altri fatti e leggi più generali di cui sono le conseguenze. Il Vailati comunque riconosceva al G. il merito di aver posto all'attenzione dei biologi italiani la riflessione sul carattere e compito delle ipotesi e delle teorie scientifiche nella ricerca. In un ampio spettro di ricerche morfologiche il G. rimase coerente con i principî che aveva enunciato. In anni di fermento e sviluppo della morfologia sperimentale, entrò nel vivo delle discussioni sulle strutture citologiche, sul significato formativo di organi come la corda dorsale nello sviluppo embriologico, sui processi di rigenerazione e regolazione negli organismi. Ma i suoi primi interessi erano stati quelli di un puro naturalista, come osservatore appassionato della vita degli Insetti e tra questi delle Mantidi. Ne esplorò gli istinti con osservazioni sul campo approfondite in laboratorio. Per una biologia comparata delle Mantidi erano allora disponibili solo la monografia di J.H. Fabre e qualche nota di D. Sharpe e A.E. Brehm. Dallo studio dei moduli di accoppiamento e disposizione delle uova nel nido, il G. passò a un esame morfologico accurato dei nidi e, di qui, degli organi riproduttivi, delle uova e dei loro involucri, fino alle modalità dello sviluppo embriologico, dimostrando come le strutture anatomiche siano strettamente determinate e correlate con la serie di riflessi nervosi e con i comportamenti della specie (Sul nido della Mantis religiosa, in Naturalista siciliano, II [1898], pp. 1-9; Sulla biologia delle Mantidi, in Giornale di scienze naturali ed economiche, XXII [1899], pp. 287-328). Tra i primi pregevoli contributi del G. è la ricerca Ein Beitrag zur Kenntnis des Genus Machilis Lah. Ill. (in Zeitschrift für Entomologie, V [1900], pp. 209-211) in cui, occupandosi del problema della variabilità, metteva a confronto quattro specie nuove di Machilis e ipotizzava per esse altrettante vie evolutive, riconducendosi alla dottrina dell'ortogenesi, enunciata nel 1897 da Th. Eimer, secondo cui un gruppo animale segue nello sviluppo filogenetico direzioni predeterminate cui anche l'organismo individuale è strettamente legato nella sua ontogenesi. Nel lavoro Sul significato morfologico del labro superiore degli insetti (in Monitore zoologico, X [1899], pp. 171-176), la ricerca, svolta ancora su Mantis, si sposta alla definizione della omologia del pezzo superiore del labbro e del clipeo con le prime appendici del capo, che nei Crostacei corrispondono alle prime antenne. Il problema della morfogenesi del capo degli Insetti toccava un tema di interesse più generale. In questo lavoro e nell'altro, Primi stadi embrionali della Mantis religiosa (ibid., VIII [1897], pp. 275-280), il G. entrava anche nel campo dell'indagine citologica cui poi si dedicò ampiamente con studi di grande originalità. Era allora attuale il dibattito sulle strutture citoplasmatiche e nucleari, sulla realtà e sulle cause dei movimenti descritti nel cosiddetto apparato della sfera durante la divisione cellulare. Il G. vi partecipò attivamente, con risultati desunti da una serie di esperimenti condotti sottoponendo oociti di Insetti all'azione di sostanze chimiche. Poté dimostrare in tal modo che i movimenti del nucleo e del citoplasma erano dovuti a raggrinzimenti o rigonfiamenti del citoplasma per il diffondersi di sostanze che provocavano variazioni osmotiche, con conseguenti spostamenti che simulavano trazioni o repulsioni. Con i lavori Sulla presenza di cristalli di sostanze proteiche negli oociti (ibid., XVI [1905], pp. 202-205), Sull'esistenza di una speciale zona plasmatica perinucleare nell'oocite (in Giornale di scienze naturali ed economiche, XXIV [1904], pp. 114-173) e Note sul meccanismo della fecondazione e della divisione cellularestudiato principalmente in uova di echinide, I, Sulla divisione cellulare (in Anatomischer Anzeiger, XX [1902], pp. 561-581) il G. portò un'ulteriore conferma e dimostrazione delle cause di queste modificazioni. Nell'ultimo degli studi citati, su ovocellula, dove tra l'altro riuscì a evidenziare la struttura raggiata intorno al centrosoma, il G. riesaminava e discuteva le interpretazioni di questi fenomeni date da Th. Boveri, da E.B. Wilson e da O. Bütschli (con il quale entrò in polemica: Sulla formazione dell'aster e sulla divisione cellulare. Risposta al prof. Bütschli, ibid., XXIII [1903], pp. 186-190), egli contestava la teoria della trazione di L. Rhumbler, e le interpretazioni di C. De Bruyne, Ch.E.M. van Bambeke e altri circa l'autonomo movimento dei nuclei, per concludere ancora che i fenomeni sembravano legati alla diffusione di sostanze prodotte dal metabolismo nucleare o citoplasmatico in grado di abbassare la tensione superficiale. Il G. riteneva inoltre che il centro di tutto il processo di divisione cellulare fosse l'astrosfera, e che fosse necessario insistere ancora nello studio delle azioni chemiotattiche. Nel 1901 pubblicò uno dei suoi lavori più importanti, e premiato, su proposta di G.B. Grassi, con medaglia d'oro dall'Accademia dei Lincei: Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus, in Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physiologie, XVIII (1901), pp. 418-483. Propostosi di studiare soltanto il processo di accrescimento dell'oocite, si spinse fino a indagare sull'origine dei vari elementi dell'ovario, cioè le uova, le cellule di rivestimento e le cosiddette nutrici. La questione non era stata ancora risolta dai tanti che vi si erano dedicati: l'ultima ipotesi era stata espressa nel 1886 da E. Korschelt che, tra tendenze opposte, riteneva più probabile un differenziamento tra nutrici e oociti da una cellula madre unica, l'uovo primordiale, anziché una loro origine distinta e indipendente. Restava aperto il problema di come queste cellule germinali divenissero oociti o piuttosto nutrici. Sperimentando sul materiale più facile da esaminare e quindi più sicuro da interpretare, l'uovo di Ditisco, e osservando sia sul vivo, sia su preparati istologici, il G. poté seguire lo svolgersi di quattro divisioni cellulari che generavano sedici cellule, un oocite e quindici nutrici: le due cellule derivate dalla prima divisione sortivano l'una i cromosomi e una massa cromatinica compatta che poi si disponeva ad anello (chiamato da allora "anello del Giardina") intorno al fuso mitotico, e l'altra soltanto i cromosomi; mentre dalle divisioni della seconda derivavano cellule con lo stesso corredo nucleare della genitrice, dalla prima derivavano due cellule che ripetevano gli eventi della prima divisione. Alla fine la cellula oocite possedeva un apparato cromatinico più ricco delle quindici nutrici, per la presenza dell'anello che dalla prima cellula era passato integralmente all'oocite. Tale risultato rimandava con molta evidenza all'analogo ottenuto dal Boveri su Ascaris. Il G. li considerava come una chiara dimostrazione che si erano create due linee di discendenza con prospettive diverse, come se i destini fossero funzione del patrimonio cromatico nucleare posseduto. Il lavoro, oltre a rispondere al quesito propostosi, affrontava pertanto il problema dell'importanza del nucleo e della sua cromatina nel differenziamento cellulare e nell'eredità. Erano gli anni in cui, mentre ancora restavano ignorati i risultati delle esperienze di Mendel, la citologia andava ponendo le basi della scienza dell'eredità. Mentre H. Driesch inizialmente attribuiva alla sola azione del citoplasma la determinazione dello sviluppo - e solo dopo gli esperimenti su Ascaris ammetteva l'importanza del nucleo, pur negandogli un significato nel differenziamento cellulare - W. Roux e A. Weismann avevano elaborato una teoria sul differenziamento organico per la quale il nucleo è il substrato dell'ereditarietà e quando si divide in parti ineguali determina per ciò stesso un diverso differenziamento delle cellule generate. Si cercava in sostanza di comprendere come e perché si realizzasse uno sviluppo diverso da cellule con medesima origine e presumibilmente eguale patrimonio ereditario. Nel seguire l'evoluzione degli elementi cellulari dell'ovario di Ditiscus il G., avendo evidenziato due figure cromatiche diverse nella fase conclusiva della mitosi, definì questa una "mitosi differenziale" in quanto provocava una suddivisione ineguale del patrimonio genetico. Da osservazioni, altrove compiute, il G. era indotto a intendere il processo qui descritto come comune ad altri gruppi animali. E ipotizzava che la divisione differenziale della cromatina potesse essere la causa del differenziamento di cellule, tessuti, organi; e ciò senza escludere che anche i citoplasmi potessero ripartirsi in modo ineguale dando diverse possibilità di esprimersi al materiale cromatinico. In questa ottica la teoria di Weismann diveniva un caso particolare di quella di Roux. Il gruppo di lavori che il G. dedicò all'embriologia sperimentale si inseriva nei temi più dibattuti allora, quelli dello sviluppo a mosaico o regolativo, della regolazione e della rigenerazione, degli stimoli e degli organi formativi. In Ricerche sperimentali su girini di Anuri (in Monitore zoologico, XVI [1905], pp. 205-212) il G. riferì i risultati di ricerche sul modo di formazione della coda nei girini, sulle regolazioni primarie e secondarie, sugli effetti di innesti di code su girini in vari stadi di sviluppo e di innesti di code su embrioni di individui di generi diversi. Concluse ribadendo, in accordo con la teoria dello sviluppo a mosaico di Roux applicabile allo sviluppo di Rana, che ogni regione del corpo embrionale era destinata a formare una determinata regione della larva, ma che alla costituzione della coda concorrevano abbozzi di varie parti embrionali e che l'epidermide derivava da una speciale zona formativa; confermò la fissità delle potenze primarie nel caso del tessuto epidermico ma anche la duttilità di quelle secondarie che si manifestavano nella rigenerazione a un momento opportuno, secondo gli enunciati del Driesch. Indicò infine il parallelismo riscontrabile nelle risposte organiche tra gli innesti eteroplastici e le ibridazioni tra generi diversi. Il G. studiò poi la morfogenesi e l'azione formativa di un organo che connota tutto un tipo animale, quello dei Cordati, che comprendono i Vertebrati e di cui purtuttavia non si conosceva ancora bene il significato nell'economia dell'organismo. Nella memoria Sul modo di formazione della corda dorsale negli Anfibi anuri (in Bollettino dell'istituto di zoologia della R. Università di Palermo, II [1933], pp. 1-31; ma i risultati erano stati ottenuti fin dal 1912) portava le prove dell'esattezza di una sua precedente intuizione che cioè la corda derivasse non da mesoderma né da entoderma ma da una zona formativa autonoma, sulla linea mediana del blastoporo. In un successivo lavoro Sul valore morfogenetico della corda dorsale (in Archivio italiano di anatomia e di embriologia, XII [1914], pp. 443-626) ampliò l'orizzonte fino a ricondurvi alcuni problemi generali. Con una serie di sottili esperienze su embrioni e larve di Discoglossus per osservare lo sviluppo di tubercoli caudali isolati e privati della corda, di frammenti embrionali e di larve private di corda, si propose di verificare la natura degli stimoli morfogenetici esercitati dalla corda dorsale. Dai risultati ottenuti concluse che, pur se molti processi sembravano attuarsi al di fuori dell'azione della corda, altri ne erano influenzati, talché questo organo, sempre presente nell'embrione dei Vertebrati, si dimostrava fondamentale nel determinare l'armonia delle parti e dunque la forma generale del corpo che da sferica si trasformava in lineare, tipica dei Vertebrati. Aggiunse l'ipotesi - del resto già presente nella ricerca di E.G. Conklin sulla genealogia dei tessuti nel tunicato Ciona intestinalis - che senza la riduzione della lunghezza della corda e il suo arresto prima della porzione anteriore del corpo, con la conseguente dilatazione del lume della vescicola cefalica e la curvatura della base, la filogenesi dei Vertebrati sarebbe stata diversa. Concludeva che se si potesse accertare un rapporto genetico tra corda e scheletro, peraltro possibile, si potrebbe dedurre che senza la corda probabilmente i Vertebrati non sarebbero mai esistiti. Interessato agli studi di somatometria come ausilio nei problemi della variabilità fluttuante, della stabilità delle razze e dell'ereditarietà, il G., attraverso confronti e dibattiti con l'antropologo G.L. Sera, che lavorava su una formula atta a esprimere l'altezza della volta cranica in rapporto alle altre due dimensioni, propose un indice poi a lui intitolato e considerato di pieno soddisfacimento dagli studiosi interessati al problema (Gli indici di altezza, di larghezza e di lunghezza in corpi aventi diametri fra loro correlativi, in Archivio per l'antropologia e l'etnologia, XLIV [1914], pp. 148-218). Gli scritti del G. sono tutti ispirati alla ricerca di risposte sostanziali sui grandi temi della biologia. Vi si manifestano una larga apertura ai problemi più attuali e la tendenza a mettere in luce momenti unificanti dei temi considerati. Oltre quelli già menzionati nel testo ricordiamo: Funzionamento dell'armatura genitale femminile e considerazioni intorno alle ooteche degli Acridii, estratto dal Giornale di scienze naturali ed economiche, XXIII (1900), Palermo 1900; Sui primi stadi dell'oogenesi e principalmente sulle fasi di sinapsi, in Anatomischer Anzeiger, XXI (1902), pp. 293-308; Intorno ai cangiamenti di forma e di posizione del nucleo cellulare, ibid., XXII (1903), pp. 331-357; Per l'incremento della vita filosofica, in La Sicilia universitaria, I (1905), pp. 14-16; I muscoli metamerici delle larve di Anuri e la teoria segmentale di Loeb, in Archiv für Entwicklungsmechanik der Organismen, XXIII (1907), 2, pp. 259-323; La centro epigenesi di E. Rignano, in Rivista di scienza, I (1907), pp. 342-346; Il concetto di individuo in biologia, in Rassegna di scienze biologiche, II (1920), pp. 65-73. Fonti e Bibl.: Necr.: Sicilia del popolo, 22 febbr. 1948 (S. Monastero); Naturalista siciliano, III (1948), pp. 5-8 (M. Mariani); Rend. dell'Acc. naz. dei XL, s. 4, I (1950), pp. 114-135 (P. Pasquini); H.E. Ziegler, Die ersten Entwicklungsvorgänge des Echinodermeneier, in Festschrift zum siebzigsten Geburtstage von E. Haeckel…, Jena 1904, pp. 542, 553, 556 s.; M. Popoff, Experimentelle Zellenstudien, in Archiv für Zellforschung, I (1908), 2-3, p. 369; P. Bonfante, Studi giuridici vari, IV, Roma 1925, ad ind.; U. D'Ancona, Trattato di zoologia, Torino 1953, pp. 56, 81; W. Derksen - H. Scheiding, Index litteraturae entomologicae, Berlin 1965, s. 2 (Die Welt-Literatur über die gesamte Entomologie von 1864 bis 1900), II, p. 145; G.B. Grassi, I progressi della biologiae delle sue applicazioni, Roma 1911, pp. 124 s.; U. Pierantoni, Studi sullo sviluppo di Icerya purchasimask, in Archivio zoologico italiano, V (1912), pp. 321-400; Enc. Italiana, XVII, p. 65 (A. Ghigi); App. III, p. 756.


 


da Treccani, Enciclopedia Online

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